Chi di voi non si è imbattuto in genitori disperati alle prese con la prima (tragica) scolarizzazione dei figli? Avete familiarità con i termini ‘valutazione’, disturbo dell’attenzione (ADHD), disturbi evolutivi? Conoscete famiglie in crisi per le affermazioni sempre più insistenti degli insegnanti che lamentano il fatto che ‘ci sia qualcosa da vedere, da indagare perché i comportamenti dei bimbi si distaccano dalla ‘norma’’? Sono situazioni purtroppo sempre più frequenti, sempre più drammatiche, che rischiano di travolgere genitori ignari che non hanno mai avuto il minimo sentore di una reale difficoltà nei loro bambini (spesso molto curiosi e con doti di eccellenza) e si vedono crollare il mondo addosso di fronte a continue richieste di una ‘valutazione’ dei propri figli.

Per chi cede si apre un mondo articolato, complesso, dispendioso, difficile da capire nelle sue articolazioni centrali e periferiche, che è il mondo delle ASL, degli psicologi, dei neuropsicologi, dei logopedisti, dei rieducatori della scrittura, degli psicomotricisti, degli esperti nei disturbi di apprendimento. Sono prospettate attività specialistiche mirate a migliorare i disturbi di apprendimento, terapie comportamentali, terapie familiari, terapie di gruppo e chi ne ha più ne metta.

Il genitore è catapultato in un mondo complesso in cui operano professionisti serissimi e parolai di mestiere che, come spesso accade, cercano

di portare acqua al proprio mulino.

Questi stessi genitori che vedono in poco tempo la propria vita stravolta per la necessità di raggiungere studi medici, prendere appuntamenti in tempi lunghissimi, barcamenarsi tra enti privati a pagamento e enti pubblici con liste di attesa infinite, questi stessi genitori vedono poi la luce in un documento, la famosa ‘valutazione’, che mette nero su bianco le difficoltà del figlio, la lista di cose che la scuola deve o non deve fare (i famosi strumenti dispensativi e compensativi) nell’interesse dei pargoletti.

Non mettiamo qui in discussione la certificazione di una diagnosi che, se precoce può essere di supporto al bambino, vogliamo far riflettere sul fatto che queste diagnosistanno occupando il mondo della scuola a livello esponenziale.

In alcune classi, in alcune scuole, si hanno la metà di alunni certificati e la metà di alunni non certificati. Di qui una prima domanda: ma se l’eccezione diventa la norma ha senso parlare di eccezione?

Il docente, chiamato a redigere quattro, cinque, dodici PDP (piani didattici personalizzati) per classe comincia a chiedersi che tipo di didattica valga la pena adottare e con quali obiettivi (minimi per tutti, differenziati, minimi e avanzati) e che senso abbia differenziare la didattica per dodici alunni e abbandonare tutti gli altri ad una didattica non personalizzata: i non certificati non hanno bisogno pure loro di un percorso personalizzato che per esempio valorizzi anche le loro eventuali carenze o faccia emergere le eccellenze? I non certificati non hanno diritto ad essere valutati in situazioni non di stress, per esempio, con una programmazione delle verifiche? I non certificati non hanno diritto a strategie compensative di fronte ad eventuali difficoltà?

Si assiste nella scuola ad una rivendicazione di diritti che opera una divisione sempre più marcata tra alunni certificati e non certificati che è tutto il contrario della vera inclusione. La realtà è che gli alunni sono sempre più medicalizzati e l’insegnante applica indicazioni di area medica, rinunciando alla sua vocazione di docente, alla sua capacità professionale di individuare carenze e mettere in atto, comunque, strategie compensative che tengano conto indistintamente delle difficoltà di tutti gli alunni, prescindendo dal pezzo di carta.

Gli insegnanti devono tornare a fare gli insegnanti.

I bambini fanno i bambini.

Ci sono bambini che non entrano subito in dinamica con gli altri, bambini che hanno un’intelligenza superiore alla media che li fa annoiare (plusdotazione), altri che hanno l’emotività degli adulti e l’incapacità di gestirla; bambini che hanno sviluppato (anche a seguito dell’impatto con la tecnologia imperante) una capacità attentiva legata alla visualizzazione e non all’ascolto, bambini che sembrano avere l’argento vivo addosso e che non hanno avuto prati, campagne, strade in cui correre, alberi su cui arrampicarsi per sfogare le proprie energie represse; bambini che hanno paura anche della propria ombra, altri che hanno difficoltà ad impugnare la penna o che non sono capaci di quantizzare, altri ancora cominciano a scrivere o leggere dopo i sette anni (in molte scuole europee la prima elementare inizia a sette anni compiuti).

Per tutti questi bambini e per le loro famiglie c’è bisogno di serenità, di tempo, di accoglienza. Non sempre di valutazioni, note, colloqui interminabili alla ricerca dell’anormalità.

La scuola ha dimenticato il valore della diversità. E per diversità intendo che i bambini non possono essere relegati in scatole pre-confezionate con etichette sopra:

i bambini sono bambini, tutti uguali e tutti diversi, senza che questo debba essere un problema per gli educatori o per le famiglie. E’ un aspetto che va semplicemente gestito da insegnanti professionisti del loro mestiere.

Oggi la scuola dovrebbe essersi evoluta, dovrebbe essere al passo con i tempi e invece è estremamente fragile nella sua capacità di includere: l’ansia dei genitori, l’ansia dei docenti, l’ansia dei dirigenti hanno trasformato la scuola in un mondo pieno di etichette che hanno finito di ingabbiare ciò che non è quantificabile, l’intelligenza, la diversità, la ricchezza, la genialità di ogni individuo.

Se non si riparte da qui, difficilmente si potrà realizzare la scuola del domani e una vera riforma.

Occorre cominciare a entrare nell’ottica che le intelligenze sono diverse, che si può essere geni in matematica e magari avere difficoltà a scrivere, che si può essere artisti e poeti e mancare di logica, che oltre ad un’intelligenza matematica, ci può essere l’intelligenza artistica, musicale, psicomotoria e addirittura quella emotiva. I genitori non devono vedere nel fallimento in una materia il fallimento del proprio figlio e i docenti non devono stigmatizzare come problema l’incapacità di un alunno nella propria singola materia. Il quadro deve essere colto nella sua complessità, nella sua bellezza, non nelle singole pennellate. Dobbiamo tornare ad amare la diversità, la genialità in tutti gli aspetti di a-normalità, dobbiamo toglierci di mente gli obiettivi didattici a scadenza o la valutazione insenso rigido.

Non c’è standard nella complessità del mondo, c’è la varietà della bellezza,dell’intuizione, della sperimentazione e dell’unicità.

Siamo unici e questa è la nostra uguaglianza: che siamo tutti diversi gli uni dagli altri.